Grandi divi cercasi. All'analisi superficiale di molti, Venezia 65 è soprattutto questo. Il quinto anno del regno di Marco Müller è quello della grande rivoluzione. Forse. Dopo il primo ciclo in cui il direttore ha dimostrato di poter prima risollevare la Mostra e poi di poter competere con tutti per glamour e Oscar, ora sembra puntare su ricerca e sperimentazione, al di là dei nomi da copertina, che comunque rimangono, anche se ammassati in pochi titoli.
L'opera inaugurale riporta gli habitué Brad Pitt e George Clooney con Frances McDormand, Tilda Swinton e John Malkovich nel thriller Burn after reading dei fratelli Coen, l'attesissima svolta di Darren Aronofsky in The wrestler schiera Mickey Rourke, Evan Rachel Wood e Marisa Tomei e l'esordiente alla regia Guillermo Arriaga in The Burning Plain punta sulla coppia di sex symbol Kim Basinger e Charlize Theron. A guardar bene i cacciatori di star hanno poco di cui lamentarsi e la considerazione appare pretestuosa.
Il punto è che il direttore una svolta determinante e determinata sembra averla data, sul sentiero dell'impegno, dell'innovazione linguistica e contenutistica, per creare una rassegna che vada oltre i titoli cubitali dei giornali o le interviste ad effetto. Ecco così due registe come Kathryn Bigelow ed Elisa Angiulli con due film non di guerra, ma sulla guerra. La prima, in Hurt Locker, affronta un blockbuster sull'Iraq e una squadra di sminatori (a darle una mano Mark Boal, reporter da cui partì anche Paul Haggis per Nella valle di Elah). La seconda, in Verso Est (sezione Orizzonti), mostra la Bosnia 13 anni dopo la guerra che l'ha stuprata e devastata.
Ma oltre al cinema della verità e del reale c'è quello del surreale onirico e immaginifico. E non parliamo (solo) di maestri come Kitano o Oshii e Miyazaki (quest'ultimo già in sala in patria, con incassi record), con ben due opere d'animazione in concorso. Basta mettere il naso fuori concorso per capire che a metterci lo zampino c'è anche la musica: Paolo Benvenuti porta Puccini e la fanciulla mentre Domenico Modugno è ricordato come regista, attore e cantante nell'autobiopic musicale di Tellini Nel blu dipinto di blu e nel suo Tutto è musica. Anche se a rubare occhio e orecchio saranno Adriano Celentano con Yuppi Du e Renato Zero e Loredana Bertè nell'opera lirica beat Orfeo 9 di Tito Schipa Jr. che chiuderà la Mostra, esempi di cinema ribelle e fuori dagli schemi.
Da questa panoramica arbitraria e sommaria, già si intuisce la potenzialità di un festival che insieme a parte dei selezionatori (le new entry Violetta Bellocchio, Alberto Pezzotta e Paolo Bertolin, probabilmente il maggior esperto di cinema dell'Estremo oriente dopo Müller) potrebbe aver cambiato anche la linea.
In fondo il direttore ha già dimostrato di essere il migliore su piazza (e il più longevo degli ultimi decenni), ora può aprire un'era. E cerca la strada più difficile e nobile per farlo, andando a colpire e cercare lì dove molti non si avventurano, siano questi luoghi il pop o le cinematografie più complesse e periferiche (tra cui l'Africa). Chissà che questo secondo ciclo non riesca a cambiare anche l'ottica di scelta dei film italiani, sottraendola alla consueta lottizzazione. Fuori dal concorso sembra già esser successo, sulla scia tracciata dalle parallele e concorrenti Settimana della Critica e soprattutto dalle Giornate degli Autori. Dal recupero-reintegro che Giuseppe Bertolucci ha fatto de La rabbia di Pasolini, a Mimmo Calopresti e il duo Balla-Repetto che portano sullo schermo la strage sul lavoro che il 6 dicembre 2007 ha sconvolto l'Italia con La fabbrica dei tedeschi e ThyssenKrupp Blues.
